di Ivan Quaroni
Nel tuo lavoro non c'è alcuna traccia di narrazione, l'immagine si offre senza spunti episodici, ma allo stesso tempo si rapporta, giocoforza, con la tradizione della Natura Morta. Sei intenzionalmente consapevole del rapporto con questo genere pittorico?
Ho guardato molto ai fiamminghi e alla pittura del Settecento, ma la mia pittura non può essere considerata vera e propria Natura Morta.
La Natura Morta, infatti, è sempre stata fortemente allegorica, con rimandi al tema della morte [Memento mori] e dell'effimero [Tempus fugit]. Al contrario, nel mio lavoro questo aspetto simbolico è completamente assente. La mia è piuttosto una ricerca che utilizza le immagini della "Natura viva" per avere a disposizione una serie di possibilità: forme, cromie, geometrie...
Quindi, la natura della tua ricerca è fondamentalmente formale?
Si, nel senso che è un'indagine sulla possibilità delle forme. Chiaramente, estrapolando le forme da un contesto naturale, modificandole, componendole, automaticamente da quelle stesse forme, da quei colori e da quelle geometrie, si generano , sulla superficie della tela, nuove possibilità, nuove strutture e nuovi piani.
Il racconto non mi interessa.
La tua è pittura all'ennesima potenza, senza alibi?
Il mio è un discorso della Pittura sulla Pittura, che finisce per annullare la Pittura nel suo aspetto più materico. Nei miei quadri non trovi il segno della pennellata, il colpetto di luce, la traccia del modo in cui viene trattato il colore...
Forse è anche il risultato dell'influenza sul tuo lavoro dell'immagine digitale...
Io, però, non parto da un'immagine digitale, ma da una fotografia.
Però l'effetto finale è quello di un'immagine che richiama la pervasività del Plasma o dei cristalli liquidi...Il fatto che, in fase progettuale, tu faccia uso del computer per scomporre ed elaborare l'immagine finisce per influenzare la tua ricerca. Le tue sono Nature Morte di un artista che appartiene all'Era digitale. Per intenderci, un artista del Diciannovesimo secolo, non avrebbe potuto neanche lontanamente ipotizzare una pittura del genere, perché gli sarebbero mancati i presupposti culturali.
Questo è vero, ma c'è dell'altro. A me, per esempio, non interessa una completa adesione alla Natura. Dei fiori mantengo – pur scomponendola – la sola forma, mentre altero completamente la componente cromatica, elaborando una nuova grammatica basata su colori artificiali. Non m'interessa la mimesi, ma la traslazione di questi soggetti verso un nuovo linguaggio.
Secondo me, tra gli artisti contemporanei, c'è una sorta di orrore verso la decorazione. Per molte culture, invece, pensa per esempio a quella islamica, non c'è distinzione tra ciò che è decorativo e ciò che è artistico. Anzi, il problema non si pone neppure, mentre è molto più sentito in Occidente, dove la decorazione è considerata un'arte minore. A mio avviso, i tuoi lavori hanno una forte componente decorativa. Tu rifiuti o accetti la definizione di "decorativo"?
Non ho mai pensato ai miei lavori in questi termini. Il fatto che il termine "decorativo" abbia assunto un significato negativo nell'ambito della nostra cultura è qualcosa che non posso cambiare. In questo senso, rifiuto tale definizione...
Però è sbagliato. Il termine ha assunto una valenza ideologica negativa che non dovrebbe avere. Prova a dire ad un ceramista o a un calligrafo musulmano che il suo lavoro è decorativo e ti scoppierà a ridere in faccia!
Forse è un problema di cultura. Che cosa s'intende, infatti, per decorazione?
Tu non pensi che un collezionista scelga di comprare un'opera tenendo conto anche di quanto "stia bene" nel salotto di casa?
Certamente. Un collezionista acquista un'opera per metterle in un ambiente o in uno spazio...
E allora perché tante storie su un termine che indica una delle più diffuse funzioni dell'opera d'arte?
Bhe, ma allora, in questo senso, tutto è decorativo.
Stavo pensando...e se nel mio lavoro si vedesse la pennellata virtuosa o il tocco di colore, sarebbe ancora considerato decorativo? Credo che sarebbe considerato solo più "pittorico".
Forse si potrebbero considerare decorativi anche i lavori di Peter Halley e Sean Scully...
Perché no? Nel mio caso specifico, la componente decorativa deriva dal fatto che io utilizzo forme naturali come i fiori, che tradizionalmente sono stati impiegati per decorare mobili, balconi e monili...
E tu rifiuti questo tipo di funzione?
Niente affatto, semplicemente non m'interessa. Io parto da forme naturali per indagare tutt'altro...
In uno testo su di te, Marco Cingolani ha scritto: "Sono un pittore e considero la pittura non un mezzo tra i tanti, ma lo scopo: il basic instinct dell'artista è cambiare la pittura". Si tratta di questo?
Certo! Io credo che la pittura sia l'oggetto della pittura.
Che ruolo ha la disciplina nell'economia del tuo lavoro?
[Silenzio. In sottofondo un disco dei CSI: Giovanni Lindo Ferretti urla: "Chi c'è, c'è. Chi non c'è, non c'è"].
...i CSI parlano di disciplina della libertà.
La disciplina non è un'imposizione, ma un atteggiamento, un modo di lavorare. Il lavoro in sé è disciplina. Farlo costantentemente è disciplina. Che cosa vuol dire fare il pittore se non "fare della pittura"?
Quando pratichi la disciplina del dipingere che cosa ti succede?
Quando non la pratico, quando non lavoro per un po' di tempo, comincio a non stare tanto bene. Fare pittura è una terapia. Dipingere con metodo, con costanza ti permette di stare bene con te stesso...ti tranquillizza.
La disciplina richiama la regola e la regola, per affinità, rimanda alla geometria, una componente fondamentale dei tuoi quadri. Qual'è l'apporto della geometria nei tuoi lavori?
Io sono stato formato alla geometria. L'ho studiata, l'ho assimilata per lungo tempo ed ora è come se dovessi ripartire da zero e ricominciare tutto, partendo proprio dalla struttura geometrica dell'immagine.
E' una geometria di sintesi o di analisi?
Di analisi. Procedo sezionando l'immagine e analizzandola, letteralmente... Nella mia ricerca sono presenti allo stesso tempo elementi razionali ed emotivi. Struttura e colore nascono insieme. Per quanto mi riguarda l'uno non esiste senza l'altro.
A giudicare dalla natura delle tue opere, sembra che tu non sia minimamente interessato all'impatto sociale. Per te qual è lo scopo della tua ricerca artistica? Quale funzione attribuisci all'opera nel momento in cui, uscendo dal tuo studio, incontra lo sguardo dell'osservatore?
Me lo chiedo spesso e mi domando se potrei fare altro nella vita. Non ho ancora trovato una risposta. La mia è un'opera quasi asettica, per niente "toccata" dalle vicissitudini sociali, ma questo non significa che non abbia uno scopo. Mi piacerebbe che il fruitore di una mia opera avesse l'occasione di ritrovare una parte di sé in essa. Vorrei che i miei quadri favorissero la relazione dell'osservatore con sé stesso, con la propria intimità.
Vorresti che lo scopo delle tue opere fosse quello di "risuonare" con l'indole dell'osservatore alla stessa maniera di certe opere astratte?
Vorrei che favorissero l'introspezione dell'individuo, quella disposizione d'animo affine alla preghiera di cui l'uomo contemporaneo ha sempre più bisogno.
La mia è, in effetti, una ricerca astratta, anche perché la forma naturale ingrandita, finisce per perdere il suo significato e diventare forma pura. Se non è astrazione questa, allora mi chiedo che cosa lo sia.
Tra l'altro, proprio come alcune opere astratte, penso che i tuoi lavori abbiano una certa musicalità, perché contengono sia elementi armonici (le bande verticali e le interruzioni orizzontali) che melodici (la modulazione delle cromie)...
Sono d'accordo se per musicalità s'intende la "composizione", però io non ho mai dipinto con questa intenzione. Certo, mentre lavoro ascolto molta musica. Può essere che, inconsciamente, qualcosa arrivi sulla tela. D'altra parte, mentre lavoro ho un mio ritmo, osservo una cadenza interiore, ma non so quanto questo influenzi la mia pittura.
Recentemente, il tuo lavoro si è visto anche fuori dall'ambito strettamente artistico, dalla pubblicità del Bacardi alla copertina dell'ultimo libro di Busi fino alle collaborazioni con gruppi come i Punto G e gli Audiorama. Quanta importanza hanno per te queste incursioni in altri ambiti creativi?
Trovo interessante di tanto in tanto confrontarmi con quello che c'è al di fuori del sistema dell'arte e osservare come il mio lavoro possa interagire con altre realtà. E' un fatto normale che un artista esca dal suo guscio e metta la sua creatività a disposizione di altri media.
Tornando all'attuale contesto artistico, trovi che vi siano delle affinità tra la tua ricerca e quella di altri artisti?
Possono esserci dei punti in comune, sia pure con tutte le dovute differenze, con l'utilizzo della geometria da parte di un artista come Davide Nido. Più difficile è individuare delle affinità stilistiche vere e proprie. Io considero il mio percorso artistico assolutamente personale...così come lo è quello di Davide Nido. Insomma, vado per la mia strada, anche se, in questa mostra, ho voluto invitare artisti come Paul Renner e Carla Mattii, con i quali condivido un'affinità sul piano dell'interesse per le "forme naturali"...
E allora che cosa è stato per te "Pentathlon"?
Una palestra artistica milanese? Scherzo!!! Quella mostra è stata la chiusura di un cerchio.
E adesso, ognuno per sé?
No. Non necessariamente. Ognuno di noi ha la propria strada. Io, Federico, Davide, Leonida ed Alessandro non siamo mai stati un gruppo, ma siamo cresciuti più o meno insieme e, alla fine, forse abbiamo un modo simile di concepire il lavoro...un atteggiamento comune, al di là di tutte le differenze.