di Ivan Quaroni
Secondo Henri Bergson, l'élan vital è un principio naturale che pervade tutte le cose, un impulso creativo che sta nella coscienza degli individui e in ogni forma di vita. Attraverso l'intuizione, l'uomo può cogliere tale slancio vitale, che sospinge verso l'evoluzione tanto la materia quanto lo spirito. Dany Vescovi sembra imbrigliare parte di questa energia nella sua pittura, dove la restituzione su scala macroscopica di una vasta varietà di dettagli floreali assume le fattezze di una lussureggiante fantasmagoria botanica.
Il primo impatto è, dunque, con la trama visiva dell'immagine, con la felicità cromatica della materia vegetale, una profusione di boccioli, corolle, petali, gambi e pistilli e piccoli frutti che si affastellano l'uno sull'altro, quasi fossero compressi in minuscole porzioni di prato. In queste visioni, tutto appare pervaso da una forza vitale vibrante, che si avvale del numero e della moltiplicazione per sottolineare l'impeto prolifico della natura, il suo inarrestabile corso, che è anche il sintomo acclarato di una scansione temporale. "Ovunque, dove qualcosa vive", scriveva Bergson, "essa ha aperto, a fianco, un quaderno dove il tempo è registrato". Per il filosofo francese, l'intuizione dell'élan vital comporta la conseguente consapevolezza della durata dell'universo. Evidentemente il tempo è, volutamente o inavvertitamente, un fattore di rilievo anche per l'artista milanese, considerando che il ritmo e la scansione sono elementi fondamentali della sua grammatica pittorica. Nei suoi lavori, infatti, le forme naturali si frammentano, slittano e si distendono lungo le linee d'interruzione generate da sottili bande cromatiche che, come iridescenti ascisse e ordinate, suddividono le superfici delle tele. Si tratta di un modus operandi che tradisce l'origine digitale del progetto dell'artista. Come generate da uno schermo al plasma o da un monitor a cristalli liquidi, le strutture di Dany Vescovi si dispongono sulla tela in sequenze fotografiche ravvicinate. I suoi soggetti, puramente pretestuosi, sono in realtà l'occasione per indagare i presupposti stessi della visione, per penetrare, con la lente d'ingrandimento, nelle segrete pieghe dell'immagine e, al contempo, per riaffermare la Natura quale fondamento di tutte le possibili geometrie e morfologie sviluppate dalle scienze umane. In questo senso, l'arte di Dany Vescovi consiste nello studio delle evoluzioni che tali geometrie compiono sulla superficie del quadro, dentro quello spazio virtuale in cui si fondono l'astrazione analitica e l'intuizione empirica. In una parola l'arte e la scienza. In fin dei conti, si può affermare che quella dell'artista milanese è una ricerca che esula dal soggetto naturalistico tout court, prefigurandosi piuttosto come un'indagine sulle potenzialità della pittura o come una compiaciuta analisi del gioco intricato di geometrie e figure, che sortisce tanto dalla logica combinatoria dei colori, quanto dalla consistenza delle superfici, sempre percorse da impercettibili screziature e rugosità.
Grazie a un lento e faticoso processo di levigatura formale, Vescovi fabbrica immagini di una bellezza suadente, inventando pattern e texture ornamentali che debordano dal piano meramente prosaico della figurazione per sconfinare in quello indefinibile e inafferrabile delle forme astratte. Malgrado la sua inclusione nell'ambito della cosiddetta Nuova Figurazione degli anni Novanta e nonostante il paragone, di segno paradossalmente contrario, con le esperienze americane di marca Neo Geo, quella di Vescovi resta una pittura ibrida e svincolata dai generi.
Sebbene le apparenze facciano pensare a un raffinato esercizio di affinamento esornativo - si pensi ai complicati orditi di certi moderni wallpaper - il lavoro di Vescovi risulta sorretto da una forte componente progettuale, che l'artista tende a non rivelare nella convinzione che a contare sia soltanto il risultato finale del processo. In realtà, ogni lavoro è meticolosamente studiato prima dell'esecuzione. La scelta degli esemplari floreali, lo studio dei colori (sovente innaturali), la ritmica delle partizioni verticali, la disposizione armonica delle grinzosità sulle superfici, il bilanciamento tra sfumature e messe a fuoco sono tutti dettagli predefiniti. Punto di partenza è sempre un'immagine fotografica, una elaborazione digitale che l'artista stesso ha realizzato. Il momento pittorico in sé diventa, allora, la dimostrazione di un teorema precedentemente formulato, l'attuazione fedele di un piano iconografico già precisato. Eppure, siamo lontani dall'ambizione, che fu di Andy Warhol, di "dipingere come una macchina". Piuttosto, si avvertono sulla tela le conseguenze dell'impiego della tecnologia digitale in fase di progetto. Le forme dipinte da Vescovi posseggono, infatti, la grana delle immagini generate dagli schermi dei computer, un misto di nitore cristallino e persistente luminescenza. In un certo senso, la sua è una pittura sviluppatasi nella seconda metà dello scorso decennio, che coincide col periodo di diffusione commerciale su scala planetaria di Internet e dei software per l'elaborazione digitale delle immagini. Non stupisce, dunque, che gli effetti di tali cambiamenti si siano ripercossi anche sulla formulazione della sua grammatica visiva, considerato che già all'inizio degli anni Novanta i Medialisti tentavano di riportare su tela gli effetti della rappresentazione mediatica. Eppure, più che la restituzione pittorica del nitore digitale, sembra che l'obiettivo principale di Vescovi sia il raggiungimento di una nuova coldness espressiva, priva di cedimenti lirici e soprattutto esente da ogni sorta di esibizionismo pittorico. Attitudine che, tuttavia, non esclude l'adesione dell'artista ad un vitalismo (pittorico) di tipo bergsoniano. La freddezza espressiva di Vescovi non concerne il congelamento delle forme, né la devitalizzazione degli impulsi ritmici e cromatici dell'immagine. Essa consiste, invece, nella messa in primo piano dell'opera rispetto al suo creatore, cosa che non si può dire di molti degli artisti della generazione di Vescovi, impegnati nella ricerca di un segno (o di un gesto) pittorico personale e inconfondibile.
Al centro dell'opera di Vescovi c'è solamente la pittura, intesa come linguaggio in continua evoluzione, come grammatica sottoposta a continue verifiche, soprattutto in conseguenza dell'insorgere di modalità di rappresentazione estremamente persuasive, dal cinema in 3D alla computer grafica. Di più, è una pittura che nega se stessa nel momento in cui azzera il valore soggettivo della pennellata a favore di una impeccabile pulizia formale. In questo modo, ciò che affiora non è il tema iconografico, né il significato ad esso sotteso, ma la qualità stessa dell'immagine, la sua potenza ottica d'impatto. D'altra parte, quale altro scopo potrebbe avere la pittura contemporanea?