di Ivan Quaroni
Della vaporizzazione e della concentrazione
dell'Io. Tutto sta lí.
(Charles Baudelaire – Il mio cuore messo a nudo)
Nel linguaggio cifrato dei loro trattati, gli alchimisti si chiamano "artisti". Come gli artisti, infatti, essi sono impegnati nella sublime operazione di imitare la Natura. Sfortunatamente, alcuni spiriti volgari, imbevuti di cultura meccanicistica, hanno interpretato tale procedimento alla lettera. Fu il filisteismo della borghesia positivista a ridurre "l'imitazione della Natura" alla sola componente mimetica. I Filosofi, o Artisti, intendevano invece imitare la Natura nel suo modus operandi, ricalcando le orme della creazione divina. Cammino difficile, invero, nel quale molti smarrirono la via... e il lume della ragione.
Come insegnano le interpretazioni iconologiche di Melancholia I del Dürer, il primo gradino dell'apprendista, che gli alchimisti chiamano nigredo, ma anche melanosi o putrefactio, corrisponde, nella teoria dei quattro temperamenti dell'uomo (malinconico, flemmatico, collerico e sanguigno) a quello che Marsilio Ficino denominava furor melancholicus. Nella fisiologia, la malinconia è anche detta bile nera, umore nero. Una putrefazione organica che prelude alla morte e, dunque, ad una successiva rinascita. Ad essa sono associati la terra, la notte, la vecchiaia, l'inverno, il piombo e saturno. Non è un caso che Rudolf e Margot Wittkower1 abbiano individuato nell'umore saturnino il segno distintivo dell'artista tormentato, animato da un'immaginazione febbrile, al limite della follia. E non stupisce che, ancora nel pieno splendore della Letteratura Tardo-Romantica, un degno figlio di saturno, Baudelaire, concluda così il suo Spleen più sublime: "E lunghi trasporti funebri, senza tamburi né bande, sfilano lentamente nella mia anima, vinta; la Speranza, piange; e l'atroce Angoscia, dispotica, pianta sul mio cranio chinato, il suo nero vessillo"2.
Alla tormentata Opera al nero, succedono, in ordine temporale, le fasi denominate albedo (acqua, alba, primavera, fanciullezza, umore flemmatico), citrintas (aria, meriggio, estate, giovinezza, umore collerico) e rubedo (fuoco, tramonto, autunno, maturità, umore sanguigno), tutte all'insegna di una conjunctio oppositorum, che accompagna l'artista nella progressiva sublimazione della materia e dello spirito. La dialettica degli opposti regola ogni fase della Grande Opera, in un difficile quanto occultato processo di trasmutazione. Rievocando il titolo di un capitolo del trattato alchemico di Tommaso D'Aquino3, De Modo Amalgamandi, il segreto della trasformazione consisterebbe nel corretto mescolamento di "ingredienti" diversi, come nei ricettari gastronomici della tradizione italiana.
Sotto il segno delle conjunctio oppositorum è dunque il confronto tra l'arte di Paul Renner, magmatico artefice di preziose putrefazioni, e di Dany Vescovi, latore immaginifico di una Natura domata dalla geometria.
Tanto la prima è sanguigna, barbaricamente bizantina, mollemente abbandonata agli sdilinquimenti di una visione in via di dissolvimento, quanto la seconda è flemmatica, cartesiana, castigata nella severa ed elegante aura delle sue cromie artificiali.
Renner e Vescovi, come il giano bifronte, incarnano, insieme, l'antico spirito multiforme in cui si fondono il saturnino e il mercuriale, dove l'apollineo e il dionisiaco s'incontrano, dischiudendo le infinite potenzialità metamorfiche dell'arte.
Per celebrare il festino di queste rinnovate nozze alchemiche, i due artisti edificano, sull'esempio degli studioli rinascimentali, il più ermetico dei templi, la più magnifica delle wunderkammer.
Un quadrato, antico segno di perfezione terrena, munito di 4 ingressi, sorretto da 4 colonne, 4 alchemiche torri che scandiscono l'eterno succedersi delle stagioni, il ritmico avvicendarsi degli elementi nel quadrante di un'ideale rosa dei venti.
Sulle pareti si snoda, a guisa delle medievali Bibliae Pauperum, il racconto folle e raffinato delle trasmutazioni naturali, la storia sempre uguale dell'Eterno Ritorno, adombrato nelle simbologie del sufico Simurg (l'araba fenice) e dell'antico Ouroboros (il serpente che si morde la coda).
Assorta in una oppiacea rêverie, tra coralli e cornucopie, clessidre e uova di struzzo, specchi offuscati e cristalli di rocca, nereidi ed ermafrofiditi, la feconda immaginazione di Renner vivifica, in oro e argento, tutto il bizzarro campionario delle collezioni principesche dell'Umanesimo, riecheggiando, allo stesso tempo, le erudite elencazioni di Des Esseintes.
Scientificamente ripartite, come per effetto di un momentaneo disturbo dell'immagine digitale, le inquietanti anatomie di Dany Vescovi, così come le sue suggestive interpretazioni dei 4 elementi o le sue conturbanti varietà floreali, esemplificano invece il perfetto innesto di Natura e Artificio.
Qui, nel quadrato magico di una sala del Conservatorio di Feldkirch, si alternano gli ossimori visivi di Paul Renner, moderne trasposizioni di un'iconografia alchemica filtrata dalla sensibilità dell'immaginario decadente, e le turgide e fiammeggianti geometrie botaniche di Dany Vescovi, frutto di una inedita ibridazione tra il genere tradizionale della Natura Morta e il linguaggio formale dell'Astrazione Neo Geo.
Qui, la Grande Opera è cominciata.
Si ricordi, tuttavia, la metafora alchemica del Ludus Puerorum4: per chi possiede la chiave della Sapienza, l'Opus è niente più che un gioco di bambini.
1. Rudolf e Margot Wittkower, BORN UNDER SATURN, 1968, Torino.
2. "Et de longs corbillards, sans tambours ni musique/ Défilent lentement dans mon âme; l'Espoir,/ Vaincu, pleure, et l'Angoisse atroce, despotique, / Sur mon crane incline plante son drapeau noir". Charles Baudelaire, Spleen, in LES FLEURS DU MAL, 1975, Milano.
3. Tractatus D. Thomae de Aquino datus fratri Reinaldo in arte Alchemiae, 1996, Roma.
4. Il gioco dei bambini è un tema ricorrente dell'iconografia alchemica. Lucas Cranach lo raffigura nell'opera Malinconia (1532), conservata allo Statens Museum di Copenhagen.