di Marco Cingolani

Mi piace discutere con Dany Vescovi, soprattutto perché partiamo da presupposti e attitudini completamente diversi, ma arriviamo entrambi a reggere completamente il lavoro all'interno della pittura. Sono sedotto dai suoi colori acidi e cangianti, nei quali esplodono le immagini sfaldandosi e mimetizzandosi. La sua pittura è fluida, tirata, una sottile pellicola organica che continuamente si muove, come se fosse organicamente viva: la sua scelta fissa quel moto, ed appare un'immagine. Il quadro sembra essersi formato naturalmente, apparso, impressionato direttamente sulla tela. La sua pittura mi è sempre sembrata molto sensuale e seducente, dove non rimane traccia del suo approccio processuale all'immagine che invece è fortissimo.
Dany usa la fotografia solo come un potenziamento del suo occhio per arrivare a cogliere, quasi a sezione, particelle infinitesimali di realtà, ma questo non basta, anche se i risultati sono molto affascinanti, si mette davanti ad una tela bianca e realizza un quadro. Dany nei suoi quadri sottolinea la possibilità della pittura di essere un prolungamento delle nostre facoltà, mentre la macchina fotografica è una protesi della visione, ma con la pittura il risultato è reso palpitante, poeticamente presente. Lo sfumato, il colore cangiante, la sfocatura, rendono possibile la creazione di un primo ed un secondo piano, come nella realtà vista attraverso un macro ingrandimento.
Dany sottolinea sempre la scarsa importanza dell'immagine, eppure molti suoi quadri sono chiaramente ispirati ai fiori, cioè la forma in natura che ricapitola tutte le forme possibili. I fiori sono appunto così visibili, ma nascondono in se tutte le forme e i colori; sono monocromi o screziati, con sfumature e trasparenze, tonali o timbrici. E soprattutto accolgono lo sguardo macro senza diventare un'altra cosa, rimangono fiori anche nel dettaglio più spinto. Anzi, il dettaglio macro di tutte le cose diventa un fiore. L'immagine per Dany è appunto un pretesto, è solo la superficie del lavoro che si perde e si disfa, i suoi quadri non raccontano, non sono un testo illustrato e nemmeno la didascalia estetica di un procedimento concettuale: il ruolo dell'artista è di innescare e assecondare il processo della pittura, che agisce autonomamente. Come già sottolineavo i suoi quadri sembrano essersi fatti da soli, perché l'autore pratica la distanza rispetto all'opera. Con Dany discuto spesso del rapporto tra arte e narrazione, e ci ritroviamo sempre su posizioni diverse, ma concordiamo nel ritenere la pittura la chiave interpretativa del mondo.

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