INTERVISTA CON DANY VESCOVI

di Marinella Paderni

Giganteschi petali striati di colori intensi e seducenti come il rosso, il viola, il fucsia, pistilli che sembrano ectoplasmi di un mondo fantascientifico. Non assomigliano ai nostri fiori le icone floreali dipinte da Dany Vescovi, sembrano piuttosto esseri creati per innesti e ibridazioni aliene, appartenenti ad un regno vegetale surreale. Eppure, guardandole, esibiscono una bellezza fisica quasi palpabile come se fossero specie rare nascoste in qualche giungla tropicale oppure nuove creature frutto di recenti esperimenti di bio-ingegneria genetica.
L'universo vegetale di Vescovi affascina proprio per questa dicotomia borderline: sono le specie future di una tecnologia che sta cambiando la pelle del mondo, clonando e ibridando parti diverse della natura, dell'uomo, oppure sono solo la visione surreale, fantastica di un artista? La risposta è inquietate tanto quanto la domanda. Da anni Vescovi dipinge ossessivamente creature del mondo vegetale – anemoni, iris, tulipani, fresie, ecc. - alterandone le sembianze con macroingrandimenti, viraggi di colore, studi di particolari e ripetizioni di elementi che conferiscono un aspetto artificiale alla naturalità dei suoi soggetti. Nel suo recente ciclo di dipinti l'artista rafforza la dimensione di spaesamento, di bilico tra nuova realtà scientifica e visione virtuale aggiungendo delle interferenze visive sulle immagini dipinte – linee e barre che corrono verticalmente sul quadro, segni di un'azione di disturbo tecnologico. Queste immagini presagiscono un presente e un futuro dominato dalla tecnologia evolutiva che ambisce a sostituirsi alla natura creando un mondo "prodigioso", pieno di effetti speciali, interamente progettato dall'uomo ma non a misura umana.
Le creature floreali di Vescovi esibiscono una bellezza tanto affascinante quanto violenta proprio perché "innaturale", una bellezza però che è simbolo del pensiero contemporaneo sulla qualità del mondo futuro, dove la tecnologia sopperirà con meravigliosi prodotti di bioingegneria alla carenza di specie naturali minacciate da desertificazione, siccità, degrado ambientale.

M.P.: I fiori sono il tuo leit-motiv, la tua dolce ossessione da anni. Mentre la maggior parte dei tuoi colleghi coetanei preferisce confrontarsi con le tematiche del momento, - come il corpo, l'identità, il paesaggio – tu persegui una ricerca sul mondo vegetale. Da cosa nasce questa scelta sicuramente più rischiosa, questo lungo viaggio in solitaria?

D.V.: La scelta di utilizzare immagini di nature, da me realizzate in macro o semplicemente recuperate, trovate, rubate in vari contesti specializzati, è la base e il pretesto per lo sviluppo iniziale della mia ricerca. La natura come elemento fondante delle forme, strutture, geometrie, morfologie che l'essere umano ha da sempre preso come esempio per la creazione in molti campi del sapere.

M.P.: Rispetto al lavoro precedente, i tuoi blow-up di fiori e piante si sono recentemente contaminati di barre e linee verticali di diverse dimensioni, texture e colore – interferenze visive che ibridano la purezza dell'immagine e infrangono il mito di una natura selvaggia, inviolata. Questa contaminazione nasce da una posizione di denuncia rispetto alle attuali problematiche scientifico-ambientali? Oppure da un nuovo presente in cui naturale, artificiale e virtuale convivono equamente sullo stesso piano etico-culturale?

D.V.: Oggi si distingue sempre meno ciò che è reale o virtuale, naturale o artificiale. Le mutazioni coincidono in tutti i campi della scienza naturale e informatica. Queste realtà viaggiano in parallelo e sempre più s'intersecano, creando nuove vie di ricerca ma anche nuovi mostri.

M.P: Trovo che la forza delle tue immagini risieda nel loro valore iconico, basato sulla triade colore-luce-forma. I tuoi particolari di fiori, a volte irreali e inesistenti in natura, hanno anche una valenza simbolica?

D.V.: Le strutture così composite hanno un valore formale, sicuramente costituite da vari fattori, ma non direi che abbiano una valenza simbolica. Penso piuttosto a ricercare una realtà non alla portata della visione umana, sconosciuta spesso per i limiti dei nostri sensi, scrutabile solo con mezzi per prolungare le nostre facoltà.

M.P.: Come ti rapporti alle altre espressioni della pittura contemporanea? Pensi che ci sia ancora ampio spazio di sperimentazione in ambito pittorico?

D.V.: Credo che la pittura come mezzo d'espressione (e non come pratica fine a sé stessa) abbia infinite possibilità in ambito sperimentale.

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