L'IMMAGINE DELLA PITTURA

di Raffaele Gavarro

Sarà per una specie di passione, malsana lo ammetto, che mi trovo sempre più spesso a riflettere sulle cose che appaiono in secondo piano, tralasciando quelli che emergono come gli aspetti più eclatanti.
Nel caso di Dany Vescovi, l'evidenza dell'immagine, di una pittura tesa ad un'alta risoluzione, è ciò di cui non vi parlerò, almeno non nel senso che vi aspettate.
In generale credo sia stato decisamente fuorviante parlare della pittura, del suo essere attuale nella rappresentazione del mondo, ponendo l'immagine e la sua resa, ovviamente quanto più vicina possibile ai prodotti delle nuove tecnologie, come la credenziale di un credito che le desse diritto di continuare ad esistere. Semmai tutto ciò è il prodotto di un ragionamento e non la causa. Comunque se l'immagine rappresentasse realmente un tale snodo, la pittura sarebbe già scomparsa da un pezzo.
Il nostro occhio e il nostro cervello, sono infatti abituati ad una tale fedeltà e velocità delle immagini che quotidianamente percepiscono, tanto da non identificarle nemmeno più con la rappresentazione del reale, ma arrivando a dotarle di una qualità autonoma, differenziata dal reale, anche se di esso rappresentazione.
La fedeltà coincide con la nascita di qualcosa che ha una vita in sé.
Tutto ciò nella mitologia della storia dell'arte è già avvenuto, di fronte ad immagini che riproducevano tanto bene il reale fino ad essere scambiate per esso, o meglio ponendole su un piano parallelo e ineffabile.
Tale condizione oggi è realisticamente impraticabile. Tra l'immagine prodotta nell'ambito della comunicazione, trasmessa dai vari mezzi che la tecnologia mette a disposizione, e l'immagine prodotta dall'arte, si aprono distanze enormi, che oltre all'evidenza della differenza dei mezzi usati, insistono sul senso e sulla finalità dell'immagine rappresentata.
In fondo guardando un quadro di oggi, la considerazione che viene naturale non può essere quella di quanto è fatto bene, sembra quasi una fotografia o una schermata di un video ad alta risoluzione, anzi meglio; piuttosto ti domandi del perché è stata scelta quell'immagine, perché è stata dipinta e non inquadrata in un obiettivo, una telecamera, o prodotta come immagine di sintesi.
Cerchi cioè il senso, le ragioni di una scelta e di una volontà di rappresentazione che è espressa in quel modo tra i molti possibili.
Nel caso di Vescovi una tale domanda è complicata dal fatto che lui fotografa, stampa, rifotografa e poi dipinge. Quindi la pittura è qualcosa che caratterizza definitivamente l'immagine, tanto in realtà da farle perdere quella qualità esclusiva di immagine, che già è nella fotografia, a favore di una rappresentazione che gioco forza ne riduce l'oggettività formale.
Non vorrei apparire esclusivamente legato, nello svolgere questo ragionamento, a questioni derivate da una concezione tardo romantica, o neo idealista, per cui la pittura mantiene vitalità nell'essere espressione di un soggetto e in quanto tale indiscutibile nella sua legittimità e autonomia.
L'evidenza e la banalità di una simile dichiarazione, non aggiunge niente alla comprensione di un modo di guardare il mondo e di rappresentarlo, che è in evidente diacronia con quello che è altrimenti in atto. Del resto la libertà del soggetto è qualcosa che diamo talmente per scontato, che non ci preoccupiamo nemmeno più di andarla a verificare. Ma questo è un altro discorso.
La rottura della continuità nel flusso delle immagini che produce la nostra cultura non sta tanto nel mezzo usato, pittura, fotografia, computer, video e via così, quanto nella perdita di funzionalità, che in ciò che si qualifica come opera d'arte, accade all'immagine. L'assenza di una causa-effetto di immediata comprensione e utilizzo, sposta l'immagine su un versante diverso da quanto prodotto in altri settori. Quell'immagine non è comprensibile nella sua frontalità, il contenuto non è dato sulla superficie, pronto ad essere utilizzato per quello scopo preciso. La distanza e l'incomprensibilità che molti non addetti ai lavori dichiarano verso l'arte attuale, se non contemporanea, deriva proprio da questa diversità di modi con cui si è costretti a fruire delle immagini, caratterizzata nella comunicazione di massa da una immediatezza che non ha affatto nell'arte, almeno non in modi così univoci.
Quando Vescovi fotografa, compie una prima operazione di separazione, decontestualizza il soggetto non solo dal suo ambiente fisico, ma anche da quello del senso in cui è collocato.
Compie un'azione, che a differenza di chi realizza fotografie, avverte ancora parziale, nel senso di corrispondenza immediata ad uno stato delle cose, che solo attraverso la pittura è portata ad una distanza irreversibile. Già, ma dove?
Immagino che Vescovi voglia riportarci di fronte al mondo con un atteggiamento diverso, privato di quella abitudinarietà che rende tutto uniforme. Immagino che dipinga se stesso e gli altri con quelle facce stranite, solitarie e interrogative, volendo indurre uno stato d'animo simile. Immagino che la meravigliata ingenuità con cui dipinge fiori e farfalle, sia la rivendicazione di una libertà dello sguardo e della pittura. Immagino che la faccia dell'uomo che in immersione ci guarda sorridente, sia la metafora di una immersione nel mondo della pittura. Immagino che il dove (?) di Vescovi sia quello di un passaggio dall'immagine all'immaginazione o, se pensate che sia più semplice, viceversa.

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