IL NATURALISTA E IL SUO SOGNO

di Beatrice Buscaroli

Può accadere di dedicarsi al lavoro di un artista a distanza ravvicinata optando per due moduli interpretativi differenti tra loro? In generale no, tendendo a privilegiare uno sviluppo logicamente orizzontale del lavoro, nel tempo. Con Dany Vescovi invece può accadere d'inserire i suoi quadri in un progetto dedicato all'astrazione (Generazione Astratta) e allo stesso tempo conferirgli il merito di essere uno dei pochi interpreti della Nuova Figurazione Italiana che abbia sviluppato un discorso autonomo e convincente, senza strizzare l'occhio all'ironia, alla dissacrazione, al sociale, cioè a tutto quanto ha trasformato le cosiddette ultime tendenze in banale arte di consenso. Probabilmente è in questa chiarezza d'intenti che il lavoro di Dany Vescovi dimostra la sua maggiore forza, in questo "stare in mezzo" ai generi senza appartenervi completamente, con disinvolta naturalezza, senza forzare da una parte o dall'altra, scegliendo un'invidiabile e intenzionale solitudine.
Vescovi rivendica al suo lavoro una ricerca astratta, una vera e propria formazione in questo senso ed è esattamente per questo che le sue opere mantengono un taglio netto sull'immagine, una peculiarità sintetica nei colori e un'impronta complessivamente non di rappresentazione. Tutto vero, tutto riscontrabile. Resta però la sua re-interpretazione combinatoria di una Natura Morta che contiene caratteristiche nuove rispetto alla tradizione e anche rispetto agli sviluppi successivi. Le Nature Morte di Vescovi rimangono infatti estranee ad una contestualizzazione, ad una volontà di rappresentazione, rimangono in un alveo atemporale sospeso, riconoscibile ma straniante. Tenendosi a prudente distanza da ogni complicazione critica o letteraria, le opere di Vescovi si potrebbero definire più semplicemente come il risultato di un sogno fantastico, dove il fiore, il "naturale", lo sboccio, il rigoglio delle forme dei petali, la disarmante varietà dei colori luminosi e accesi, assumano connotazioni oniriche, rivisitati nella forma, nella messa a fuoco, nel colore.
Una naturalità extrascientifica, ultrasensoriale. L'artista costruisce una pittura con il metodo del naturalista, scegliendo il soggetto, selezionando l'immagine, riportandola sulla tela, mascherando i differenti settori, dipingendo e combinando teorie di colori non complementari, spesso con una resa cromatica acida, sintetica, dissonante, stridente. Dando una sorta di sistema cronologico preciso all'elaborazione dell'opera. Nello stesso tempo, l'artista lavora con la perizia precisa di un artefice italiano, figlio di sapienza secolare, e porta a perfezione in modo quasi maniacale la resa finale dell'immagine: tenendo sempre altissima la qualità della pittura ad olio, sopra ogni formato, anche il minore, "tirando" il colore, lavorando sui contorni per renderli paradossalmente definiti e insieme incerti, netti ma sfocati, magnetici, in un continuo lavorìo del tratto sottostante. Perfino il taglio verticale, la cesura che fissa parti di quadro sfasate fra loro, gode di un incessante ricorso alle sfumature, agli allungamenti, alle diluizioni.
La certezza del lavoro alimenta la ricerca di Vescovi, che affronta contemporaneamente una serie di problematiche aborrite dall'immagine politicamente corretta dell'artista contemporaneo di successo. Dipinge Nature Morte (pur rivisitate dall'interno) ignorando di fatto il concettuale (o perlomeno l'idea che si è fatta chi dice di praticarlo), ricorre sistematicamente alla maestria pittorica ignorando la Bad Painting, elabora artigianalmente i supporti infischiandosene dell'approssimazione glamour, attraversa la Nuova Figurazione in lungo e in largo per giunta impiegando la metodologia desueta dell'astrazione, non disdegnando l'impiego del supporto fotografico e affrontando di petto la problematica della decorazione nell'impiego del pattern e della struttura compositiva. Tutto ciò sarebbe sufficiente per venire ostracizzati dalla variegata e rumorosa famiglia del contemporaneo. Invece, per la chiarezza della resa pittorica e per la linearità della ricerca, Vescovi ha un vastissimo riscontro e appartiene di diritto alla esigua schiera di quegli artisti che, in tempi non sospetti, cioè verso la metà degli anni '90, affermarono con forza l'attualità della pittura, rendendola centrale nella loro ricerca. Un'"inattualità" rispetto ai canoni à la page, propria solo di quegli artisti che lasciano il segno e affermano un'idea implicitamente forte, leggibile direttamente nell'opera e non costruita a tavolino. Dalla metà degli anni '90, l'ondata della Nuova Figurazione Italiana in meno di quindici anni ha convinto appieno la comunità dei collezionisti italiani, alimentando anche l'attività di molte gallerie e contribuendo all'apertura di altre e all'allargamento della presenza della pittura alle fiere specializzate. Manca ancora un riconoscimento, che apparirebbe ora assolutamente legittimo a livello internazionale, negato (in parte) fino ad oggi, dalla selezione preventiva che viene fatta sui nomi da esportare alle fiere internazionali, dalle quali viene quasi sistematicamente esclusa la pittura. Allo stesso tempo bisogna riconoscere che non molto è stato fatto fino ad oggi per riscrivere con attenzione quel periodo, anche a proposito di quegli artisti che hanno goduto del nuovo clima instauratosi in Italia, e ne hanno garantito continuità e sviluppo. La Nuova Figurazione Italiana sembra fino ad oggi aver prodotto decine e decine di talenti. Ma in realtà, seguendo il criterio imprescindibile dell'autonomia e della qualità dell'opera, una scelta attenta non dovrebbe riguardare più di una dozzina di nomi. Vescovi è sicuramente uno di questi. E lo è per la durata della singolarità del suo lavoro, per la sua riconoscibilità, per la sua indipendenza da facili scorciatoie quali l'ironia, l'attenzione sociale, il taglio cinematografico, e tutto quanto ha prodotto una serie infinita di epigoni senza qualità. Senza difficoltà si riescono ad individuare gli artisti che, prima di altri, hanno sviluppato un'indipendenza convincente (e ostinata) da chi li ha preceduti. É ormai storia (anche se recente, per l'accelerazione che i processi in generale hanno subito grazie alla comunicazione globale) l'affermazione di Giovanni Frangi e Luca Pignatelli della Nuova Officina Milanese, così come il ricorso al supporto fotografico di Daniele Galliano, l'atmosfera lisergica di Pierluigi Pusole, o la ricerca del coetaneo Federico Guida. Così come di sicuro interesse sono le ricerche successive dei Palermitani (Bazan, De Grandi, Di Marco e Di Piazza), o del romano Gioacchino Pontrelli, o le architetture interne di Alessandro Roma. Non si tratta, naturalmente, di una scelta risolutiva. A questi pochi nomi, tutti con alte qualità pittoriche, dislocati geograficamente sul territorio nazionale a testimoniare una sensibilità diffusa e convincente, se ne possono aggiungere ancora, ma sicuramente solo una sparuta minoranza rispetto alla proliferazione incontrollata di questi ultimi cinque anni. Sono soprattutto autori dotati di un retroterra storico. Ciascuno di loro ha guardato con intelligenza al passato (generalmente legato alle esperienze del secondo dopoguerra o molto più ravvicinate nel tempo), chi alla riduzione fotografica del supporto pittorico, chi alla Low Culture del fumetto, chi alla tradizione sociale di alcune aree del Paese, chi alla logica metropolitana delle metropoli, chi a qualche grande tendenza. La storia della pittura internazionale degli ultimi cinquant'anni, divorata e convincentemente assimilata, quindi. Dany Vescovi ha osservato con attenzione la Pop Art americana, ha ascoltato con intelligenza la lezione di James Rosenquist, dando spessore alla resa (intenzionalmente) cartellonistica del grande maestro, "italianizzandola" nella qualità, non temendo il ricorso alla decorazione per impreziosirla, per renderla a volte estetizzante, in un costante riferimento al concetto autonomo di bellezza esteso alla pittura. I risultati della sua ricerca sono lì, appesi alle pareti.
Riconoscibili e convincenti.

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