NATURA NATURANS

di Marco Meneguzzo

Natura naturans, la Natura naturante, è un concetto di Averroè, ripreso da Baruch Spinoza, per cui la natura è l'essenza e il principio produttivo dei propri attributi e modi. Senza andare alle distinzioni con la natura naturata, e senza ricorrere all'equivalenza medievale tra questo tipo di natura e Dio, mi pare che visivamente questo concetto si possa attagliare alla pittura di Dany Vescovi. Similitudine troppo concettosa per chi, in fondo, dipinge fiori? Non credo: le parole sono soppesate, soprattutto quando ci si addentra in quel territorio difficile che sta tra la critica e la filosofia, e che qualcuno, nel nostro caso, potrebbe chiamare estetica. Così, la chiave di lettura di questo incipit sta tutto il quell'avverbio - "visivamente" - che precisa i termini del discorso e che pone limiti precisi a un'espressione – Natura naturans – che altrimenti può svariare dal misticismo più estremo al materialismo più intransigente. Il pittore, più ancora che il generico artista, spesso si accontenta di parlare ai sensi, ed ecco allora che quel "visivamente" trascina il discorso verso l'esperienza dei sensi, visto che la vista, per quanto sia il più astratto dei sensi, è pur sempre uno di quei cinque. E' in questa umiltà che il pittore altrettanto spesso ritrova la sua grandezza, nel conoscere i limiti del proprio strumento e nel non fingere che sia qualcos'altro: i sensi sollecitati dalla pittura producono il senso della pittura stessa.
Quindi, tornando a Vescovi, la sua pittura è indirizzata ai sensi, ma senza rinunciare per questo a sollecitare quegli stessi sensi verso la comprensione sensibile e sentimentale di quel concetto, che nella sfera dei sensi assume connotazioni un po' diverse, e che potrebbe anche non essere troppo consciamente evidente al pittore stesso: eppure, dipingere una natura così lussureggiante da non lasciare spazio a nessuna profondità prospettica, da saturare completamente il campo visivo, da far sentire le cellule che si moltiplicano, da far vedere la morbidezza fragile e sfacciata della vita che si sviluppa (qualcuno potrebbe forse pensare che i fiori di Vescovi siano fiori recisi, da natura morta, da vaso di fiori?... no di certo), fare tutto questo non equivale a restituire "visivamente" quel senso di natura come "principio produttivo dei propri attributi"?
Certo, la sua non è l'idea platonica di natura – e neppure quella spinoziana, peraltro -, ma è la percezione di una possibilità di rappresentazione attuabile, che può riuscire: ancora una volta l'umiltà della composizione pittorica, della scelta di un soggetto, della sapienza tecnica sopperisce alla difficoltà espressiva del concetto, e produce un'opera sensibile, sensuale, sentimentale e sensata.
Sensibile perché indirizzata, come si è detto, ai sensi. Non potrebbe essere altrimenti, conoscendo anche la personalità dell'artista, che considera la pittura come esercizio, come produzione, come disciplina le cui regole sono dettate dalla percezione visiva, cioè da quell'attitudine intermedia e precedente l'elaborazione razionale. La pittura, per Vescovi, è il campo del sensibile, e anche quando ci presenta una serie di telette quadrate in tutte le tonalità del giallo e del rosso, in realtà ci presenta la sua tavolozza, i mille ingredienti per dipingere un fiore: la pittura si esaurisce in se stessa, e questo sentimento, paradossalmente, assomiglia di nuovo al "principio produttivo dei propri attributi", per cui questa definizione, prima di essere applicata al soggetto della sua pittura – la natura, la flora tropicale (e prima erano particolari di pesci o quant'altro) - è applicabile alla pittura stessa.
Sensuale, perché dipinge quasi l'intimità di un mondo silenzioso (a proposito, anche i suoi pesci facevano parte di un mondo silente, prettamente visivo, almeno per noi umani...), che nasce e si sviluppa altrettanto silenziosamente e "in segreto": segretezza violata dalla visione macro di Vescovi, macro come potrebbe essere un film porno che "spara" i particolari anatomici a tutto schermo. E poi, quel modo di trattare l'immagine, con quello sfumato che cancella la traccia della pennellata e restituisce la sensazione della materia organica, della peluria vellutata e carnosa del tropico, contribuisce a fare di ogni fiore di Vescovi un'orchidea, cioè un organismo che esibisce i propri organi sessuali invece di nasconderli.
Sentimentale, non tanto per il trasporto di Vescovi verso i propri soggetti (anche se il mondo dei fiori potrebbe indurre a un certo sentimentalismo, tanto da voler usare come antidoto a questa degenerazione del sentimento il titolo dell'incompiuto romanzo di Carmelo Bene: Il male dei fiori...), ma sentimentale verso la pittura perché, come si è detto, il mezzo è anche il fine, lo strumento non costruisce che se stesso: verrebbe quasi da dire che la grande produzione di quadri di un pittore – e anche Vescovi può avere un ritmo produttivo non indifferente... - non trova la sua causa nella volontà di moltiplicare le opere, i risultati, ma nel desiderio di praticare il più possibile la pittura, di scoprirne i segreti o di inventarne di nuovi.
Sensata, infine, cioè dotata di senso, e quindi necessaria ed efficace, grazie all'equilibrio degli altri tre elementi, divisi categorialmente dal discorso critico, ma fusi nell'opera pittorica. Ogni quadro, infatti, è pittura e rappresentazione, processo e soggetto, il come e il cosa, con la serena consapevolezza di agire per il godimento dei sensi, per qualcosa che prima di essere bellezza, è semplice azione: dipingere è umano.

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